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Equilibrio sì, regia no: ecco perché Deiola serve a questo Cagliari

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Equivoco, ovvero interpretazione sbagliata, malinteso, errore venuto dallo scambiare tra loro cose o persone simili. Una definizione che si presta ad Alessandro Deiola e alla sua prima parte di stagione con la maglia del Cagliari. Tattico e di giudizi, l’equivoco del quale è protagonista il centrocampista di San Gavino è uno dei nodi da sciogliere nel prossimo futuro.

Posizione e compiti

Male a Como, meglio contro il Cittadella, un passo indietro a Ferrara nelle gare da titolare, un gol sfiorato da subentrato nella vittoria contro il Modena. L’inizio di campionato di Deiola ha fatto storcere il naso ai più, non solo per le prestazioni, ma soprattutto per una posizione nello scacchiere di Liverani che non ha convinto. Eppure sia contro il Como che contro il Modena il centrocampista ventisettenne è stato schierato da interno, ma sono le sfide contro Cittadella e Spal ad avere creato l’equivoco – appunto – sul suo utilizzo. Davanti alla difesa, in quella zona di campo dove spesso e volentieri in una mediana a tre si destreggia il regista. Ed è qui che avviene il primo scontro tra idea e realtà. Perché Deiola è stato sì il centro del centrocampo del Cagliari, ma senza che gli venissero consegnate le chiavi della manovra. Una differenza sostanziale tra ruolo e compiti, un malinteso che porta a dare per scontato che a una posizione in campo corrispondano sempre e comunque determinate richieste. Liverani, che conosce il sangavinese fin dai tempi di Lecce, aveva già utilizzato il classe ’95 davanti alla difesa in Salento. Con punti in comune sostanziali nell’economia della squadra. Non le chiavi della manovra, bensì nelle mani di Deiola il mazzo dell’equilibrio, quello per chiudere la porta della mediana all’attacco tra le linee degli avversari di turno.

Lavoro oscuro

Il tecnico rossoblù ha portato in Sardegna alcuni dettami chiari. Esterni di difesa che possono spingere in avanti anche contemporaneamente, mezzali tecniche che non disdegnano la verticalità e poco portate al contenimento. O, comunque, non veri e propri mastini di centrocampo. In questo contesto si inserisce il mediano Deiola, non regista, ma schermo davanti alla difesa per dare equilibrio in fase di possesso. Che le qualità nella gestione del pallone, sia nello smistamento che nell’uscire dalla pressione, siano inferiori rispetto ai compagni di reparto è evidente, ma Liverani non chiede a Deiola compiti da play. Gamba, sudore, mantenimento della posizione, lavoro sporco per esaltare le caratteristiche di chi gli sta intorno. Nulla di più, nulla di meno. Poi, nelle gare da giocare con l’idea di controllare il possesso in tutto e per tutto – come ad esempio il primo tempo contro il Modena – ecco che l’ex Spezia lascia il posto a elementi che danno del tu al pallone, per poi entrare magari a gara in corsa per dare stabilità e freschezza a un reparto in debito d’ossigeno. Anche a Lecce Deiola veniva spesso utilizzato come perno centrale della mediana a tre. E anche in quel caso di fianco a lui non classici portatori d’acqua, ma giocatori tecnici e con spiccata vocazione offensiva come Majer e Barak, o veri e propri registi come Petriccione e Tachtsidis. D’altronde si può essere registi anche da mezzali – Pirlo insegna – così come si può essere mediani anche in quella zona spesso assegnata al play.

L’equivoco della posizione e del ruolo che vanno a confondersi con i compiti sembra penalizzare Deiola e anche Liverani che lo ha scelto come centrale di centrocampo. E che, probabilmente, lo sceglierà ancora nella stessa zona del campo. Dopo due stagioni positive, quella della salvezza con Semplici come uomo della svolta proprio da mediano – mancando un vero e proprio regista in rosa – e quella della retrocessione nella quale i suoi gol avevano dato speranza nonostante tutto, per Deiola è arrivato il momento di dimostrare che si può essere profeti in patria. Non solo essendo appariscenti, ma anche con quello sporco lavoro che qualcuno dovrà pur fare. Perché, in fondo, raccogliere 106 presenze in Serie A  con 10 allenatori diversi non può essere un caso. Arrivare a certi livelli può essere fortuna, restarci – anche lontano dall’Isola – non può essere un bluff.

Matteo Zizola

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