Intelligenza, compattezza, equilibrio, attenzione e cura dei dettagli. Sono queste le caratteristiche messe in campo dal Cagliari di Davide Nicola nella vittoria del Bentegodi contro l’Hellas Verona di Paolo Zanetti. Una partita non bella quella disputata dai rossoblù, ma senza dubbio ottima. Apparente contraddizione, ma che mette a nudo la confusione che spesso aleggia nella valutazione di una prestazione. Si può giocare, infatti, una grande gara pur senza mettere in mostra un calcio esteticamente piacevole: basta unire un copione tattico studiato e ben seguito, un’esecuzione della strategia vicina alla perfezione, una preparazione basata sull’enfatizzare i limiti dell’avversario e sull’evitare che ne vengano fuori i pregi, insieme alla volontà di sfruttare le proprie caratteristiche, quelle dei singoli e quelle del collettivo.
Chiave centrocampo
Il Cagliari si è presentato a Verona con un copione tattico ormai noto, pur se l’assenza soprattutto di Piccoli ha portato alla modifica di alcune scelte nella fase di possesso. Nicola ha messo in campo i rossoblù con il classico doppio modulo, per quanto i numeri tattici possano essere una mera indicazione di massima. Difesa a quattro in costruzione e a cinque in non possesso, centrocampo a tre in entrambe le fasi – vera novità della serata del Bentegodi – e Luvumbo in appoggio a Pavoletti. Come spiegato dall’allenatore piemontese nel post partita, il tentativo di costruire con un sistema 4+1 (Zappa da braccetto a terzino e Makoumbou come riferimento in mediana) si è scontrato con l’atteggiamento del Verona, portando così il Cagliari a puntare non tanto sulle corsie esterne e i triangoli, ma su palloni diretti alla ricerca della spizzata del centravanti e delle eventuali seconde palle.
Quando il Verona ha provato a spingere, soprattutto nei primi dieci minuti di gara, la difesa comandata da Palomino ha puntato sulla chiusura degli spazi verticali e, ancora di più, di quelli nella zona di rifinitura. Fondamentali in entrambe le situazioni le scelte dei tre centrali e di Augello, con la partita del mancino milanese che merita un passaggio a parte. A dare solidità alla retroguardia ci hanno pensato i due braccetti, più Luperto di Zappa, che hanno rotto la linea per andare ad attaccare la punta dell’Hellas che arrettrava per dare opzioni di gioco. Per quel che riguarda Augello, invece, già dall’impostazione con blocco più basso vista nella prima fase di partita si poteva notare la tendenza ad attendere l’avversario diretto così da lasciare meno spazio possibile alle proprie spalle.
La differenza sostanziale rispetto alle precedenti uscite, su tutte l’ultima casalinga contro la Fiorentina, è stata la presenza di un mediano davanti alla difesa supportato da due interni di centrocampo. Un reparto con tre giocatori centrali, Makoumbou a fare da riferimento in costruzione e Marin con Adopo come invasori con caratteristiche differenti e complementari. A risaltare però è stata la prestazione del centrocampista franco-congolese, vero e proprio filtro davanti alla difesa che ha dato maggiore solidità alla fase difensiva e permesso di schermare sia il gioco verticale che quello orizzontale del Verona. L’abilità di Makoumbou non è stata solo quella di equilibrare tatticamente tutto il collettivo, una sorta di centro di gravità intorno al quale ruotavano tutti i compagni in entrambe le fasi, ma anche quella di capire quando dare una mano soprattutto ad Augello nella copertura delle zone più esterne, andando a scivolare sull’eventuale supporto del trequartista dell’Hellas, nello specifico prima Suslov e poi Bernede.
La presenza in campo di un mediano centrale basso ha così evitato quanto visto nella sfida contro la Fiorentina. Ossia il disequilibrio non appena uno tra Adopo e – in quel caso – Prati andavano in pressione alta sul braccetto avversario, lasciando scoperta come conseguenza un’ampia zona davanti alla difesa. Il centrocampista francese e Marin si alternavano così nella rottura della linea mediana, con l’altro a dare manforte tra difesa e centrocampo e soprattutto con Makoumbou sempre presente come riferimento difensivo per tenere corta la squadra e coprire la porzione di campo della zona di rifinitura.
Un altro aspetto fondamentale nella gestione difensiva della partita è stato l’aiuto dato dalle due punte in fase di non possesso. A turno Luvumbo e Pavoletti scivolavano sotto la linea della palla e andavano a schermare Duda, unico giocatore del Verona – escluso il trequartista – in grado di gestire il pallone con pulizia tecnica e dunque di creare principi di pericolo. Il sacrificio alternato dei due attaccanti ha aiutato e non poco il collettivo, con Makoumbou e Marin che soltanto quando necessario andavano a pressare più alti per supportare sia sul regista slovacco sia sull’uomo tra le linee, spesso libero di abbassarsi per dare un’ulteriore opzione ai tre difensori gialloblù. La vera mossa (in chiave generale) di Nicola è stata quella di lasciare il pallino del gioco agli avversari, con la consapevolezza di due aspetti che insieme rappresentavano limiti e forza del Verona. Il primo è quello di una squadra che era (ed è restata) ultima in Serie A per precisione dei passaggi, tanto che alla fine della partita il dato del possesso palla ha recitato un 55% per l’Hellas e un 45% per il Cagliari: in sostanza Nicola ha lasciato che i gialloblù tenessero la sfera, con l’idea che la lor imprecisione mista all’attenzione dei rossoblù potessero insieme creare i presupposti per la vittoria. Il secondo è stato il compito affidato ad Augello che, come anticipato, merita un capito a parte.
Senza sbocchi
La più classica delle giocate del Verona in questo campionato è stata quella di attirare centralmente gli avversari per poi cercare rapidamente lo sfogo sulla corsia di destra del proprio attacco, utilizzando le caratteristiche del suo esterno Tchatchoua. Velocità sopra la media e capacità di attaccare lo spazio sul lungo che, al netto di difficoltà tecniche al momento del cross, sono state spesso il grimaldello per aprire le difese. In questo contesto Nicola ha scelto in maniera perfetta di chiedere ad Augello una prestazione diversa rispetto al solito. Meno propositivo e più attento, tanto che come dato da prendere come esempio l’esterno mancino del Cagliari ha effettuato appena 4 cross in 90 minuti, una media di uno ogni 22,5 minuti contro quella stagionale pari a uno ogni 12,5 minuti.
Il terzino rossoblù ha messo in campo attenzione massima, lasciando da parte le incursioni verso la trequarti avversaria non solo per la presenza di Tchatchoua, ma anche per l’assenza davanti a lui di un esterno alto da supportare offensivamente. La vera differenza rispetto alle altre partite, però, è stata la marcatura uomo su uomo a distanza e non aggressiva. Per evitare di lasciare troppo campo alle proprie spalle e perdere quasi certamente il confronto sul lungo contro l’avversario diretto, Augello ha gestito le marcature preventive con intelligenza, spostandosi all’occorrenza in una zona più centrale anche in fase di possesso offensivo oppure attendendo nella propria metà campo l’arrivo dell’esterno gialloblù. Una decisione vincente da parte di Nicola che, oltre a schermare Duda, ha anche gestito perfettamente l’unica vera fonte di pericolo del Verona sugli esterni.
Palla lunga e profondità
Non solo equilibrio e attenzione difensiva, non solo Makoumbou come mediano e Augello più attento e meno propositivo. Il Cagliari, infatti, contro il Verona ha messo in mostra anche capacità di sapere utilizzare al meglio le armi a disposizione, senza eccessi, senza particolari picchi, ma con costanza e intelligenza.
La chiave della fase offensiva è stata senza dubbio la presenza di Pavoletti al posto dello squalificato Piccoli. Caratteristiche diverse nonostante ruolo simile, perché se il titolare assente a Verona garantisce gestione dei palloni anche bassi e un lavoro da riferimento con anche qualità nell’attacco della profondità, il livornese è più abile nel gioco aereo e più uomo d’area, ma con la capacità di giocare di sponda per favorire l’attacco dello spazio dei compagni. La disposizione delle due punte è stata dunque verticale, con Pavoletti a ricevere i palloni lunghi e Luvumbo a scivolare alle sue spalle per raccoglierli.
Non solo, perché oltre alla disposizione in verticale dei due giocatori offensivi, di fondamentale importanza è stato l’atteggiamento di Marin (e anche di Adopo e Zortea) nell’attacco delle seconde palle sporche dopo le sponde di Pavoletti. Soprattutto il romeno ha svolto un compito ibrido, un po’ mezzala un po’ trequartista, una sorta di regista offensivo con libertà di svariare anche in orizzontale contro il compagno di reparto Adopo più portato alla corsa dritto per dritto. Da una sua inizitiva figlia di una seconda palla spizzata da Pavoletti è nata l’occasione di Luvumbo a inizio gara, esempio perfetto dell’utilità di Marin più come centrocampista senza particolari compiti di filtro che nella mediana a due.
Seppur la strategia offensiva è stata diversa rispetto al passato, la rete del vantaggio firmata da Pavoletti è arrivata con un’azione che ha sfruttato le solite caratteristiche del Cagliari. Difficoltà nella costruzione a quattro sugli esterni sì, ma alla fine gol che nasce proprio partendo da Zappa come terzino, dal movimento in verticale di Zortea, dalla seconda punta o trequartista che sia che va a supporto e crea densità sulla fascia di possesso, da uno dei centrocampisti che completa l’ipotetico rombo dando ulteriori opzioni di scarico e, infine, dal centravanti che prima si associa alla zona del pallone per poi staccarsi per attaccare l’area sul secondo palo.
Quando Luvumbo riceve la palla in verticale da Zappa ci sono due dettagli che permettono la giocata poi sfociata nel cross. Il primo è Zortea alto e largo a spostare l’attenzione del braccetto di sinistra Valentini; il secondo e ancora più importante è l’attacco senza palla in verticale di Marin che, con il suo movimento, fa sì che Duda non vada ad aiutare Bradaric in raddoppio su Luvumbo, ma venga attirato nella copertura dell’incursione del centrocampista romeno. In area intanto Pavoletti esegue un contromovimento, andando prima a “sviare” Ghilardi con la finta di attaccare il primo palo, per poi sfilargli alle spalle per puntare il palo più lontano. Certo, c’è il doppio errore fondamentale di Coppola prima e di Ghilardi poi che lasciano scorrere il cross, ma la preparazione della giocata e l’esecuzione prescindono dal risultato positivo arrivato con il gol e sono un’indicazione di quanto i movimenti senza palla coordinati possano creare situazioni di pericolo e difficoltà nei marcatori avversari.
Matteo Zizola