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Serie D sarda: SOS strutture, così non si può continuare

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Parlare di strutture in epoca di continue gare a porte chiuse può fare sorridere. E invece per il calcio sardo è arrivato il momento chiave per iniziare a pensare agli impianti. Non c’è più tempo. Perché un calcio messo in ginocchio dal virus potrà ripartire solo con un progetto solido, a lungo termine, dove i tifosi e gli stadi siano centrali.

Non si parla solo del nuovo Sant’Elia a Cagliari. E il discorso, molto più politico che sportivo, abbraccia non solo il calcio ma ogni sport isolano, o quasi. L’impressione è che gli interventi vengano fatti solo quando davvero non c’è un’alternativa alla chiusura della struttura. Una strategia della pezza in corso invece che una pianificazione votata a valorizzare i singoli movimenti sportivi. E dire che la frase “La Sardegna è l’isola dello sport” è stata usata, e forse abusata, più volte, anche ai piani alti della Regione, durante questa estate di ripresa degli eventi nazionali e internazionali.

Se guardiamo nello specifico ai campi della Serie D l’isola sembra tutto tranne che un eccellenza in campo sportivo. Il caso più eclatante è quello del Carbonia che da un paio di giorni si sta allenando a Villamassargia a causa di un continuo braccio di ferro tra dirigenza e amministrazione comunale sulla questione interventi, affitti e rimborsi dello stadio Zoboli. La squadra di Mariotti ha trovato i lucchetti ai cancelli dell’impianto e sta ancora aspettando una decisione per capire se domenica potrà giocare regolarmente in casa oppure se dovrà trasferirsi a Villamassargia. Con quest’ultimo Comune che ha già dato disponibilità per ospitare le gare interne dei minerari. Entro mercoledì il Carbonia dovrà dare una risposta alla Lega Nazionale Dilettanti, pena la sconfitta a tavolino.

Ma la situazione del Carbonia non è la sola nel contesto sardo. Inutile negare che anche in altre regioni, specie nel Sud Italia, ci siano struttura vetuste e al limite della praticabilità. Ma nell’isola se escludiamo il Pirina di Arzachena e il Lixius di Lanusei si fatica a trovare degli impianti con un minimo di buona salute. Ed è un peccato vista l’importanza e la storia di alcune società. A Sassari, esempio su tutti, il Vanni Sanna ormai da anni versa in condizioni al limite della decenza. Del campo che visse derby di Serie C e che sfiorò la Serie B a metà anni 2000 resta poco o nulla. Proposte e progetti sono arrivati da parte delle società ma per ora mancano le risposte e i piani anche a livello comunale. La Torres continua a giocare in quello che è il suo stadio mentre il Latte Dolce ha deciso di andare a Sennori, almeno per questa stagione. In attesa di avere a disposizione lo stadio nel suo quartiere, altro progetto che ha subito non pochi problemi dal punto di vista delle istituzioni. Sì perché anche costruirlo uno stadio è uno scherzo mica da poco. E non solo in termini di investimenti.

Infine, meglio non va al Muravera. Anche lo stadio della squadra di mister Loi è ormai ai limiti della praticabilità in Serie D. Un brutto risvolto della medaglia per la migliore delle sarde fin qui in classifica, e per una squadra che può ambire sulla carta a fare una stagione da protagonista nel girone G. L’amministrazione comunale ha promesso numerosi interventi per rimodernare il campo o addirittura per regalare una nuova casa ai gialloblù. Per ora però resta il rischio di vedere emigrare la squadra in futuro per le partite interne. Insomma, il Covid ha messo in ginocchio la quarta serie sarda. Senza un piano a lungo termine sulle strutture però pare difficile pensare a una ripartenza reale del calcio isolano. Perché sarà anche vero che l’abito non fa il monaco ma nel mondo del pallone vale di più un altro modo di dire: dimmi in che stadio giochi e ti dirò chi sei.

Roberto Pinna

TAG:  Serie D
 
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