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Cagliari | Equilibrio e continuità, Nicola e un riscatto che passa più dal come che dal quanto 

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L’equilibrio è la condizione per la quale un corpo sta fermo per compensarsi delle azioni che su di esso si esercitano o, anche muovendosi, conserva un determinato assetto. In senso figurato è espressione di calma, di costanza, di controllo. Equilibrio è, dunque, la parola chiave per descrivere quanto visto al Bentegodi, la vittoria di un Cagliari che contro il Verona ha messo in campo la massima espressione del concetto. In uno stadio dove da ben 53 anni e oltre non arrivavano gioie, i tempi di Gigi Riva, anche all’epoca un 2-0 come quello firmato dai due capitani rossoblù Leonardo Pavoletti e Alessandro Deiola. I loro nomi sul tabellino, quelli del gruppo sulla partita, quello di Davide Nicola a simboleggiare il riscatto dopo un periodo difficile nel quale la classifica sorrideva, ma risultati e soprattutto prestazioni non erano apparsi altrettanto felici.

Oltre
“Ora dobbiamo riconfermarci nelle prossime partite. Ciò che vorrei vedere d’ora in avanti è la stessa fame e l’attenzione messe oggi. Andiamo avanti perché non è finita. Vogliamo confermare quanto fatto oggi perché è importante anche come si arriva all’obiettivo. L’opera non è terminata”. Tra televisioni e conferenza stampa Nicola ha battuto sullo stesso tasto. Un classico dell’allenatore rossoblù che nel corso di tutta la stagione ha sempre usato il bastone nei momenti di apparente crescita e la carota quando da fuori i giudizi sono stati tutt’altro che positivi. Equilibrio, insomma: spingere con forza contraria per riportare la barca allo stato di conservazione dell’assetto, così da poterla condurre in porto evitando sia le tempeste che il mare eccessivamente calmo. C’è però una novità nelle parole di Nicola dopo la vittoria contro il Verona. Una novità non da poco, così come non da poco è stata la prestazione della squadra al di là del risultato. L’allenatore rossoblù ha infatti messo sul tavolo il tema del come, dell’importanza di andare oltre l’obiettivo salvezza, puntando il mirino anche sul modo in cui lo si potrà raggiungere. È questa la sfida delle ultime quattro giornate di Serie A che, oltre al conforto della matematica ancora da assaporare, è una corsa contro se stessi e i propri limiti mostrati durante l’arco di tutto il campionato. Quelli di una squadra capace di tenere botta nella stragrande maggioranza delle partite, ma allo stesso tempo di improvvise cadute che hanno continuamente rimesso in discussione i valori della rosa e anche quello di Nicola come condottiero capace di raggiungere consolidamento e crescita. Non una questione estetica, non un discorso di risultato contro gioco. Bensì il tema della continuità, della consapevolezza, dell’equilibrio tattico e mentale. Come, appunto, visto a Verona con una gara intelligente, curata nei minimi dettagli, fatta di personalità e pragmatismo, ma senza disdegnare qualità e voglia di colpire. Non aspetti secondari, a maggior ragione quando la tentazione di riempire di pensieri inconsci una mente che sarebbe dovuta essere libera era legittima e quasi fisiologica. Perché un punto a testa avrebbe potuto accontentare tutti e invece il Cagliari ha deciso che no, l’occasione era troppo ghiotta per non provarci e, in fondo, il materasso di un’eventuale sconfitta indolore permetteva di poter provare il salto in alto senza il timore di una caduta rovinosa.

Come più di quanto
In un campionato che nella zona rossa è livellato verso il basso, con una quota salvezza che scende di giornata in giornata vittima del passo lento di chi lotta per restare in Serie A, è evidente che per raccogliere meriti che vadano oltre i demeriti altrui c’è l’estremo bisogno di crearsi obiettivi propri. Non basta tagliare il traguardo, è necessario farlo a braccia alzate e senza guardarsi alle spalle. Con un rettilineo finale che possa permettere di superare il recente passato (leggasi i 36 punti ottenuti da Claudio Ranieri) e andare anche oltre, costruire non solo la classifica, ma anche il futuro. Questione di mentalità, imparare a non accontentarsi e poter guardare al percorso con meno rimpianti possibili e senza dietrologie. Una sfida nella sfida per Nicola, come se un nuovo torneo fosse iniziato fin dalla sconfitta contro la Fiorentina, passando per la vittoria contro il Verona e arrivando alle ultime quattro giornate da vivere con intensità ed equilibrio. Sarebbe troppo semplice derubricare i tre punti del Bentegodi al valore di un avversario tecnicamente non eccelso e in chiara difficoltà. I limiti del Verona di Zanetti sono stati enfatizzati dall’atteggiamento del Cagliari, le peculiarità dei gialloblù cancellate da una gestione tattica dei dettagli praticamente perfetta. E, allo stesso tempo, i rossoblù non si sono accontentati di gestire l’Hellas, ma hanno anche trovato il modo di colpire dove era più consono farlo, hanno tenuto ben presente la propria forza e i propri difetti, hanno giocato sulle qualità riconosciute senza andare oltre, con umiltà che non si è trasformata in timidezza. Si dirà che dal punto di vista della bellezza non si sia visto un gioco spumeggiante, ma si rischierebbe e non poco di sbagliare il fuoco della foto della partita. La bellezza è negli occhi di chi guarda ed è aspetto soggettivo, altra cosa è la bontà di una prestazione calcistica. Il Cagliari a Verona ha disputato un’ottima gara che può accontentare risultatisti e giochisti alla stessa maniera. Una partita che ha messo in mostra intelligenza e qualità delle scelte, compattezza e aiuto reciproco, semplicità e cura dei particolari. Insomma, una buona partita che ha forse ancora più valore di una bella partita, perché con la prima quasi sempre arriva anche il riscontro del risultato, con la seconda non è scontato portare punti a casa. Ecco, il futuro è tutto qui: in quattro gare nelle quali il come conterà più del quanto, nelle quali lasciare il segno sarà la chiave per guadagnarsi un’estate più serena possibile. Nelle quali l’equilibrio dovrà diventare la stella polare del gioco, delle scelte e, come conseguenza, dei giudizi. Perché, in fondo, la salvezza è fondamentale, ma non è l’unica cosa che conta.

Matteo Zizola

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