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Cagliari | La salvezza come priorità, ma sognare un futuro migliore è ancora possibile?

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Sognare non costa nulla, sognare è gratis, sognare è forse la parte più importante dello sport in generale e senza dubbio del calcio. Se tutto si riducesse a numeri su carta, a bilanci e potenzialità economiche, a valore della rosa e degli investimenti non avrebbe alcun senso scendere in campo in determinate partite. L’imponderabile, il buttare il cuore oltre l’ostacolo, il sovvertire pronostici e ribaltare le probabilità: sono questi aspetti che sono alla base del gioco. Eppure dalle parti di Cagliari, ormai da tempo, si è quasi persa la voglia di sognare. Realismo nudo e crudo, accontentarsi guardando a chi sta o è stato peggio, paura di cadere piuttosto che voglia e desiderio di sorprendere.

Obiettivo
Un punto deve restare fermo in qualsiasi analisi che sia numerica o umorale: la Serie A è un patrimonio, trattenerla tra le proprie mani è una priorità che va oltre qualsiasi discorso. A prescindere dal come e dal quando, sia attraverso un calcio speculativo, sia attraverso l’obiettivo puntato sugli altri, sia a due mesi dalla fine del campionato come all’ultimo minuto dell’ultima giornata. Che si guardi al risultato o al gioco, il fine ultimo non può che essere la salvezza. Messo al centro del tavolo questo concetto imprescindibile, c’è poi tutto il resto. E tutto il resto è il sogno di andare oltre, di guardare a se stessi e al proprio percorso per scrivere il racconto onesto di ciò che si è e di ciò che si vuole essere. Arrivando dunque a una domanda la cui risposta non è semplice: da quando parte dell’ambiente rossoblù ha smesso di voler sognare? Da quando ogni discorso che vada oltre il mero raggiungimento dell’obiettivo salvezza – fondamentale, ancora una volta – finisce per essere tacciato di filosofia senza né arte né parte? Attenzione, non si tratta dell’annoso tema tra giochisti e risultatisti, di per sé scorretto a monte. Perché chi punta sul bel gioco, concetto soggettivo, non ha in testa di certo la sconfitta come obiettivo, ma semplicemente sceglie una strada per arrivare alla vittoria che è differente da chi vuole raggiungere lo stesso traguardo, ma passando da terreni magari più consoni alle proprie qualità. Il tema, al contrario, è quello delle aspettative, della voglia di andare oltre il compitino, del guardare a se stessi senza aver bisogno di osservare continuamente gli altri nella speranza di non essere coinvolti troppo a lungo nella battaglia. Senza voli pindarici, senza pensare al tutto e subito, ma cercando miglioramenti passo dopo passo che portino a una crescita lenta ma sostanziale. Rifuggendo la mediocrità, rifuggendo l’enfatizzazione di qualcosa sì di non scontato come la salvezza, ma obiettivamente alla portata e non definibile come impresa.

Cambio di rotta
Una piramide che parte dal vertice fino ad arrivare alla base con un unico vincitore inconfutabile: il pubblico della Unipol Domus e quello che ha sempre accompagnato i rossoblù nelle difficili trasferte in giro per l’Italia. Gli unici, assieme a tutti coloro che hanno investito nei vari abbonamenti alle televisioni – non pochi, anzi – che possono tirarsi fuori dal gioco delle responsabilità. Già, perché seppur l’obiettivo salvezza è a un passo, se il Cagliari ha compiuto ancora una volta un percorso fatto di tante (troppe?) sconfitte e di uno stadio che è tutt’altro che il fortino immaginato non si può non parlare di responsabilità. C’è quella di chi comanda, in fondo il filo rosso che collega stagioni sempre uguali tra retrocessioni (due), immediate risalite (altrettante) e campionati apatici con pochissimi picchi, diverse rincorse e salvezze da salutare con più o meno entusiasmo. C’è quella di chi ha in mano la costruzione della rosa che, però, non si è assunto il compito da solo. C’è quella di chi siede in panchina, ma anche in questo caso non caduto dal cielo in maniera casuale, ma selezionato e inseguito strappandolo a chi ne deteneva il contratto. C’è, infine, quella di chi va in campo, con uno zoccolo duro che è il minimo comune denominatore. Un destino preordinato, le sconfitte che sono nel numero una logica conseguenza della propria dimensione, il pubblico sugli spalti che passa da vento che deve soffiare a elemento che mette frenesia. Un’assuefazione al proprio cammino segnato e che non si può deviare, perché in fondo il Cagliari è questo, il calcio italiano è pieno di nobili decadute, la differenza economica incide, inutile sperare in copioni diversi. Copioni peraltro già scritti in passato, senza chissà quale finale, ma comunque con una squadra che anche fuori dall’Isola era vista come difficile da incontrare, andare a giocare in Sardegna non una passeggiata di salute, tutt’altro. Ecco, il tema è proprio questo. Al di là del Tirreno nessuno considera più il Cagliari come una squadra capace di poter sorprendere. Destinata sempre e comunque alla lotta nelle parti basse della classifica, al ruolo della vittima sacrificale della grande di turno, basti pensare all’attuale lotta scudetto e alle analisi sul calendario che ovunque hanno visto la trasferta di Lecce come un possibile problema per il Napoli, quella di Parma altrettanto, la gara casalinga contro il Genoa magari più semplice ma con i liguri che non mollano, ma l’ultima al Maradona contro i rossoblù quella no, su quella nessun dubbio che i partenopei raccoglieranno i tre punti. E allora non resta che un ultimo quesito: come si può chiedere a chi scende in campo di far sognare se parte dell’ambiente, per primo, è sfiduciato e incapace di immaginare un futuro diverso? È questa la vera e unica sfida del Cagliari che verrà, perché la colpa non è di chi ha perso fiducia ma di chi questa fiducia l’ha cancellata con il ripetersi di stagioni fatte di paura e pragmatismo, di volontà che si scontra con la realtà. A prescindere da Davide Nicola e di chi lo ha preceduto e da chi, prima o poi, lo seguirà. Per far tornare il Cagliari se non a fasti ormai lontanissimi, almeno a poter dire la propria ogni settimana. Senza accontentarsi, senza che ciò che dovrebbe essere la normalità (la salvezza) diventi qualcosa per cui attendersi la folla festante all’aeroporto o in piazza.

Matteo Zizola

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