Sarà ancora una volta Serie A, sarà ancora una volta A-team. La vittoria del Cagliari per 3-0 sul Venezia ha sancito la salvezza dei rossoblù di Davide Nicola, in una gara che è stata il riassunto di tutta la stagione nel bene e nel male. Con il colonnello a capo di Deiola e compagni che ha portato a termine il proprio piano, ideato con in testa l’obiettivo unico e fondamentale della permanenza nel massimo campionato, attraverso sì la sofferenza, ma con caratteristiche uniche sul piano dei risultati che hanno dato ragione al John Hannibal Smith di Vigone. Che, seguendo la trama della famosa serie televisiva degli anni ’80, pur senza guanti neri e sigaro in bocca può chiudere la stagione con la massima più famosa del suo alter ego: “Vado matto per i piani ben riusciti”.
Realismo
Giocarsela con tutte, vincere e convincere con chi lotta per lo stesso obiettivo. Tanto semplice quanto efficace, è tutto qui il Cagliari di Nicola. Quattordicesimo posto, trentasei punti quanti quelli dei rossoblù della passata stagione guidati da Claudio Ranieri, salvezza alla penultima giornata dopo scontro diretto vinto contro chi inseguiva: un remake in tutto e per tutto, al netto di differenze che appartengono al campo delle opinioni più che dei fatti. Quella contro il Venezia è stata la partita che ha certificato la storia di un intero campionato. Ossia di una squadra che ha deluso quando chiamata al colpo fuori programma, pur con alcune prestazioni comunque di livello, ma che nel momento del dunque difficilmente ha fallito il colpo. E così è stato contro i lagunari dell’ex Eusebio Di Francesco, tanto da far dire all’allenatore abruzzese che la gara è sembrata tra adulti contro bambini. Un Cagliari maturo, appunto. Capace di confermare il trend cristallizzato in tutto il percorso, quello che ha portato ben 25 punti su 36 contro chi segue e appena 11 nelle sfide contro chi è davanti in classifica. Otto vittorie su dodici scontri diretti, un pareggio e appena tre sconfitte. Di contro non sono mai arrivati i tre punti contro chi occupa la parte sinistra della classifica (solo il Lecce e il Genoa hanno lo stesso score negativo), una sola vittoria contro chi è dal tredicesimo posto in su (quella in casa contro il Torino), otto pareggi e ben sedici sconfitte per il resto. Insomma, un Cagliari corazzata nel campionato di riferimento, una sorta di A2, ma vittima sacrificale in quello delle altre. Ed è in questo aspetto che possono cambiare le valutazioni di una salvezza ottenuta quasi senza patemi, ma con picchi di entusiasmo assenti. Con l’ultimo turno di Serie A che vedrà i rossoblù essere arbitri della corsa allo Scudetto e, chissà, provare a raggiungere l’ultimo micro obiettivo di quella vittoria che manca contro una delle grandi del campionato. Per togliersi una soddisfazione che manca, per mettere i bastoni tra le ruote al Napoli di Antonio Conte e, soprattutto, per salutare la stagione con il sorriso che solo una prestazione positiva può lasciare in vista dell’estate.
Sassolini
Chissà chi era il mittente delle parole di Nicola dopo la vittoria contro il Venezia e la salvezza raggiunta matematicamente come conseguenza. Se la società per alcune richieste alla voce prestazioni e risultati, se parte dell’ambiente per una certa delusione latente, se la stampa per alcune critiche mal digerite. O, magari, per se stesso e un passato che era sempre lì a mostrare l’etichetta da salvatore di situazioni estreme più che da consolidatore in vista di una crescita futura. Quello che però è certo è che l’allenatore rossoblù ha voluto sottolineare diversi aspetti del suo percorso in Sardegna, perché in fondo l’aver raggiunto l’obiettivo con novanta minuti d’anticipo permette di tirare fuori il petto e di poter scaricare l’adrenalina di un’annata non sempre semplice né tantomeno lineare. In primis l’approccio alla nuova realtà che, senza timore di smentita, è stato tutt’altro che semplice. I mesi fanno dimenticare alcuni dettagli, su tutti quello di un testimone preso da un personaggio con la storia di Ranieri. Arrivare dopo Sir Claudio era sfida complessa, essere riuscito a mettere da parte i paragoni e la nostalgia in poco tempo un plus non di poco conto che fa pendere la bilancia dalla parte di Nicola. E che l’allenatore rossoblù ha voluto sottolineare: “Per me non è stato semplice subentrare dopo la presenza di un grande allenatore come quello che c’era prima”. C’è poi un discorso più ampio, quello che riguarda percorso e aspettative: “È normale voler sempre di più, ma per ambire a qualcosa in più servono riflessioni diverse e più ampie”. In sostanza, legittimo chiedere uno scatto, ma non dipende tutto e solo da chi siede in panchina, anzi. Non solo, perché anche il confronto con il passato è tornato prepotentemente sul tavolo, sia dal punto di vista del Cagliari come squadra sia da quello personale. L’etichetta strappata con l’orgoglio di poter guardare solo a se stessi: “Negli ultimi anni sono riuscito a raggiungere gli obiettivi, ma spesso mi veniva detto qualcosa o c’era sempre da aspettare altri risultati. Quest’anno, invece, ce l’abbiamo fatta da soli, senza dipendere da nessuno, questo me la fa sentire ancora più mia”. E la soddisfazione per aver dato un valore a una rosa che, forse, dall’esterno è stata sopravvalutata, almeno secondo Nicola: “L’anno scorso sembrava un miracolo, quest’anno è sembrata un pelo meno di quanto ci si aspettava. Questo gruppo, pur perdendo personalità, perdendo Nández o in avanti senza Shomurodov che avrebbe fatto il suo e sarebbe stata un’alternativa in più. Sono arrivati giovani come Piccoli, che è il primo anno che fa 10 gol, Adopo ha fatto un campionato da titolare che non aveva mai fatto, Zortea ha fatto sei gol, Luvumbo è migliorato tanto, Obert ha fatto più presenze, Caprile ci ha dato tanto. Pensare che questa squadra valga di più…io credo vadano fatte altre analisi, altre squadre che hanno il nostro valore rischiano di non arrivare dove siamo arrivati noi, serve sapere questo”.
Risposte
Passando dai fatti alle opinioni, ma sempre guardando ai numeri, Nicola ha ragione nel mettere i classici puntini sulle i. Sottolineare tutto il buono, seppur spingendo anche su dati e confronti più soggettivi che reali. Il Cagliari ha raggiunto l’obiettivo, non è quasi mai stato invischiato nella zona rossa pur restando a distanza non di totale sicurezza, ha sbagliato poche gare fondamentali, ha fatto crescere alcuni giocatori fino a oggi incompiuti. Allo stesso tempo, però, dimenticare il valore di una rosa che è difficile non considerare superiore a quella della passata stagione è un dettaglio che non si può dimenticare. Perché è vero che dal punto di vista della personalità è mancato Nández, per usare l’esempio citato da Nicola, ma allo stesso tempo Mina era in Sardegna fin da inizio campionato, Zortea è stato – come sottolineato dall’allenatore rossoblù – un plusvalore rispetto al León e Shomurodov nello scorso campionato ha passato più tempo in infermeria che in campo. Piccoli e i suoi 10 gol sono stati una manna dal cielo e un record personale da non sottovalutare, ma è anche stata la prima stagione da titolare indiscusso e, per media gol-minuti, in linea se non inferiore alle precedenti. Adopo, anche lui al primo campionato da protagonista, non aveva un percorso molto diverso da quello di Sulemana che lo aveva preceduto come mezzala nello scorso campionato. Caprile è stato un valore aggiunto espressamente richiesto da Nicola, altro merito, ma d’altra parte l’aver cercato un’alternativa a Scuffet fin dall’estate ha forse portato alle difficoltà del friulano, diventate un boomerang non appena il Napoli ha detto no al trasferimento del portiere richiesto in estate, salvo poi cambiare idea a gennaio. Insomma, derubricare ad altre analisi da fare quelle che vogliono il Cagliari attuale con più possibilità di quello che giocò la Serie A da neopromosso è sì legittimo, ma non del tutto corretto. Non perché i rossoblù avrebbero potuto ambire ad altri traguardi più prestigiosi, per i quali ci vuole sì tempo e soprattutto un budget differente, oltre a idee che limitino al massimo gli errori in sede di calciomercato. Piuttosto perché parlare di una salvezza più tranquilla, che non avesse nella sfida contro il Venezia la sublimazione, ma che potesse arrivare con maggiore serenità non è lesa maestà, tutt’altro. A maggior ragione se i pareggi mancati contro Fiorentina e Udinese, più che con il Como, fossero stati analizzati non come sfide contro squadre di livello superiore, ma come incidenti di percorso frutto anche (non solo) di errori. Perché i viola poi hanno lasciato strada al Venezia al Penzo, perché l’Udinese ha dimostrato prima e dopo il Cagliari di essere squadra tutt’altro che sul pezzo, tanto da perdere al Friuli contro il retrocesso Monza, per esempio. Insomma, la salvezza targata Nicola è stata la vittoria del pragmatismo e del realismo, ma non può e non deve cancellare l’idea che un altro campionato fosse possibile. Ed è da qui che passa il futuro in Sardegna dell’allenatore piemontese, dalla convinzione sua e della società che sì, insieme si può fare meglio e di più. Che il piano ben riuscito non debba per forza essere la sofferenza in nome della permanenza in Serie A. Al contrario, forse, meglio salutarsi e guardare all’obiettivo raggiunto come un successo, sì, ma senza esaltazioni.
Matteo Zizola