Una serie di “quadretti” di calciatori del passato cagliaritano e non solo, a cura di Nino Nonnis.
Da un bel po’ di tempo scrittore in via di fama, da molto tempo docente universitario. Da sempre sportivo praticante, il calcio e il tennis sono i suoi sport preferiti, cosa che i due sport non possono dire di lui. Giocava centravanti d’area, grande cuore e grandi polmoni, due organi che in questo caso però sono semplici accessori, ancorchè importanti. Gli mancavano purtroppo i piedi o meglio ce li aveva, chiaramente, ma gli servivano soltanto per toccare terra, non avevano misura e sensibilità, e lui non è mai riuscito a tararli al meglio. Il suo vanto è di avere giocato nella Sardegna, allenata dal mitico De Renzis, in lega giovanile.
Consumava le scarpe da gioco sul davanti, in punta, tomaia e calze. Sui campi in terra, che ai suoi tempi erano la norma, sollevava grandi polveroni, anche in assenza totale di vento, si girava e si rigirava, e il terzino ci cascava, succedeva spesso che roteassero le gambe senza essersi accorti che avevano perso il pallone, tutti e due. Un ossimoro ne celebrava il ruolo: centravanti statico di grande movimento sul posto. Penserete che parli in questo modo per invidia, affatto, è un sentimento che uso per situazioni ben più importanti. Se poi lo avete visto giocare capirete che la mia non può essere invidia.
Penserete allora che mi ha battuto invariabilmente a tennis, sport che lui praticava e pratica al tennis club? No, credetemi, ha sempre perso. O, per essere più precisi, avrebbe perso. Ogni cosa che ho scritto di lui in questo quadretto, anche se stenterete a crederlo, mi è stata dettata solo dall’affetto. Che vanta origini antiche: siamo stati vicini di casa, lui abitava in via Monti, e dalla sua finestra ci vedeva giocare. Luciano ha altri campi dove raccogliere attestati e stima, ma lui è fatto così, ci tiene troppo a essere considerato un grande sportivo e passare come tale alla storia. Lui sì, che è invidioso. Non sopporta che il suo collega di lavoro e di passione Tonio Trudu lo batta costantemente nei cimenti sulla terra rossa.
Luciano Marrocu ha chiamato il suo investigatore Carruezzo, un centravanti semi cambone, che come giocatore si era ispirato per metà a Marrocu, riuscendovi. Il mistero giallistico si stabiliva quando loro due toccavano il pallone: chissà dove andrà a finire. Se lo toccavano, perchè una volta l’unico calcio che diede Luciano fu quello d’inizio. Ovviamente lui nega. Bastò però quest’unico gesto per fare intuire le sue doti, anche se bisogna dire che aveva il maestrale a favore.
A Marrocu, centravanti eclettico, sincretico, discretico, non bastava un solo amore contrastato, un solo sport. Nell’area di rigore lui praticava anche sa strumpa, prontus quaddus prontus, quattro spazzini con le mani in terra, e se era piovuto, la lotta libera sul fango.
Nino Nonnis