L’omaggio speciale di Nino Nonnis a Mario Corso, campione dell’Inter di Helenio Herrera, scomparso all’età di 78 anni.
Le scarpette speciali le avevamo anche noi, giocatori feriali per passione. Non c’erano né marche né firme di calciatori che tenevano, quelle speciali erano per noi la “Pantofola d’oro”. Si trovavano anche da Ortu, in via S. Avendrace, ma a quei tempi, per chi abitava in San Benedetto, S. Avendrace sembrava un posto lontanissimo e scomodo. Quasi non alla moda. Per cui andavamo in via Paoli, un piccolo negozietto dove un signore, che era più spesso al bar Floriana, vendeva i vari articoli come se fossero gioielli di famiglia. Quelle scarpette ci sembravano mitiche, uguali se non migliori, perché nuove, di quelle che usava Mariolino Corso. Fatte a mano, una ad una, da artigiani marchigiani o di quei cipressi, figli a loro volta di artigiani. Sembrava che con quelle scarpette ai piedi non si potesse tirare di puntera neanche volendo.
Spesso, dopo venti minuti che le portavi ti dimenticavi di averle ai piedi, te li fasciava, avvolgendoli, e anche il tiro violento, con loro, acquistava grazia. Un mio amico, destro naturale, quando c’era una punizione dal limite voleva batterla sempre lui, per il solo motivo che aveva le stesse scarpette di Mariolino Corso, la Pantofola d’oro, e tutti lo sapevano, anche il portiere avversario. Invece che di destro, le batteva di sinistro a rientrare, a foglia morta, per immedesimarsi totalmente col suo idolo interista. Non ne segnava una, ma faceva sempre un gran figurone.
Corso ci ha fatto ricordare che ieri era ancora vivo e questa è una colpa nostra. Anche nella mitica formazione dell’Inter era sempre l’ultimo a essere ricordato e infatti spesso ci fermavamo a Picchi o Jair, dando l’altro per scontato. Brera che per certi campioni aveva creato una categoria a parte, l’aveva relegato nel rango degli abatini, dei grandi mezzi giocatori, grandi per caratura tecnica, che in loro voleva dire classe, mezzi per doti fisiche, predisposizione al sacrificio. Per lui Corso era il participio passato del verbo correre. Poesia di un’impossibilità. La stessa che ho provato vedendo Fiorillo in un torneo amatori, in un fazzoletto di terreno, a centrocampo, onusto di chili, proteggere il pallone da una torma di assatanati, sino a trovare lo spiraglio di un pertugio per il passaggio.
Poesia di una impossibilità. Poesia di un calcio del passato. E Corso me lo ha ricordato.
Nino Nonnis