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Simone Brui: “Capoterra è casa, il rugby qui è più di uno sport”

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Per il primo episodio della nuova rubrica estiva “Sotto il Sole di Centotrentuno”, abbiamo intervistato Simone Brui, rugbista romano in forza all’A.S.D. Capoterra. Simone ci ha raccontato com’è andata la stagione appena conclusa, del rapporto che sta costruendo con l’Isola e dell’importanza del movimento giovanile per il futuro del rugby locale.

Simone, partiamo dalla stagione appena conclusa: che bilancio fai di quest’annata? Com’è andato il campionato per te e per il Capoterra?
“L’anno è stato molto positivo. Abbiamo chiuso nella parte alta della classifica, al quarto posto. Un risultato soddisfacente, soprattutto considerando che per noi è stata una stagione di cambiamento: sono arrivati diversi giocatori nuovi e c’è stato un cambio di staff tecnico. Alla guida sono subentrati due figure storiche del Rugby Capoterra, Marcello Garau e Gabriele Ambus, che ufficialmente sono ancora giocatori, ma che quest’anno – complici degli infortuni – hanno assunto il ruolo di allenatori. Era, a tutti gli effetti, un anno di prova. Nonostante questo, abbiamo risposto bene. Certo, con un pizzico di continuità in più avremmo potuto fare meglio, ma tutto sommato il bilancio è positivo. Le difficoltà non sono mancate: dal nuovo assetto tecnico al fatto che il campionato ha visto l’ingresso di squadre che conoscevamo poco, e che si sono rivelate molto competitive. Alla fine, però, siamo riusciti a restare in alto. Ora l’obiettivo è partire da questa base per fare ancora meglio nella prossima stagione”.

In che ruolo giochi e che tipo di giocatore ti consideri?
“Il mio ruolo è quello del mediano di mischia, che nel rugby equivale un po’ al mediano del calcio: è una figura presente in tanti sport di squadra. È il giocatore che gestisce il ritmo del gioco, quello che deve leggere i momenti della partita e capire quale tattica adottare nelle varie situazioni. Sono un giocatore che si diverte ancora tanto a fare questo sport, anche dopo più di vent’anni – ho iniziato da piccolissimo. La cosa che mi riesce meglio? Uscire dagli schemi. E so bene che, da mediano di mischia, non dovrei farlo (ride, n.d.r.), ma mi piace cercare l’opportunità quando la vedo, anche se non è prevista dal copione. Col tempo, però, ho imparato a controllare questi impulsi, a seguire il piano di squadra e a non far impazzire i miei compagni”.

Da Roma alla Sardegna, come è nata la scelta di trasferirti qui? Cosa ti ha convinto ad accettare la sfida con il Capoterra?
“Sono nato rugbisticamente al Rugby Frascati, dove ho fatto quasi tutta la trafila delle giovanili. Successivamente sono passato alla Lazio Rugby, uno dei club più storici d’Italia. Dopo quell’esperienza, sono tornato a Frascati, sia per motivi di studio sia perché, comunque, il livello lì era ancora molto alto. Durante il periodo del Covid è arrivata la proposta del Rugby Capoterra. In quel momento sentivo davvero il bisogno di allontanarmi da Roma: un po’ per cambiare aria, un po’ per scoprire qualcosa di nuovo. La Sardegna mi ha sempre affascinato, e questa mi sembrava l’occasione giusta per fare un’esperienza di vita diversa. Sembra banale, ma non lo è: quando qualcuno da così lontano ti cerca, ti vuole davvero, ti chiede di uscire dalla tua routine, dalla tua comfort zone… diventa tutto molto stimolante. Ho firmato un primo contratto di due anni con Capoterra. Doveva essere una prova, un cambiamento, un modo per rimettermi in gioco. E invece ho scoperto che la vita qui in Sardegna è molto più vicina a quello che desidero per me. Rispetto a Roma – caotica, frenetica, sempre piena – qui ho trovato la mia dimensione. Ho ricominciato a studiare, ho riscoperto nuovi equilibri. In un certo senso, è stata più di un’esperienza: è stata una scelta”.

Simone Brui del Rugby Capoterra

Cosa diresti ai giovani ragazzi che vorrebbero iniziare a giocare a rugby?
“Il rugby, come tutti gli sport, è un gioco meraviglioso. Ma ciò che mi ha insegnato davvero tanto – e che è anche ciò per cui il rugby è conosciuto – sono i valori profondi che porta con sé: la lealtà, il rispetto delle regole, l’amicizia. Sono valori che ti rimangono addosso per tutta la vita, se hai avuto la fortuna di praticarlo. Detto questo, consiglierei a qualsiasi bambino di fare sport, perché oggi non è più scontato. Lo sport, qualunque esso sia, aiuta a crescere. E ovviamente consiglierei anche – e soprattutto – il rugby, perché è uno di quegli sport che, se ti entra dentro, ti forma non solo come atleta, ma come persona. Ti insegna il rispetto, il sostegno, la condivisione. Ti insegna a volere bene ai compagni e ad aiutare chi hai vicino, perché questa è una lezione che il rugby ti dà in ogni momento: da piccolo, negli allenamenti, fino a quando giochi da grande. Ecco perché credo che, grazie allo sport – e al rugby  – si possa diventare persone migliori. Nel nostro piccolo, ma davvero”.

Hai appena parlato di quanto sia importante avvicinare i giovani al rugby. Come sta andando il movimento giovanile a Capoterra? Hai visto crescere il settore negli ultimi anni?
“Oltre a giocare, alleno anche una delle categorie del settore giovanile: l’Under 10. A volte mi capita di dare una mano anche ad altre categorie, ma quella è la mia squadra di riferimento. Il settore giovanile, da quando sono arrivato in Sardegna nel 2020, è cresciuto tantissimo. Quando sono arrivato, eravamo appena usciti dal periodo del Covid: le attività sportive erano molto limitate e al campo si vedevano pochissimi bambini, forse una decina in tutto. Veniva solo chi abitava vicino o chi non aveva troppo timore a far uscire il proprio figlio di casa. Oggi, a distanza di 4-5 anni, i numeri sono aumentati quasi dieci volte. Il club ha lavorato benissimo, e i risultati si vedono: sempre più bambini arrivano al campo, si appassionano, portano amici, restano. La cosa più bella è che sono davvero entusiasti. Amano far parte del club, si sentono parte di qualcosa. E questo è esattamente quello che cerco di trasmettere io: il valore dell’appartenenza, il rispetto per la maglia, il senso di famiglia. È quello di cui parlavo prima, a proposito del rugby: questi valori non si insegnano solo con gli esercizi, si trasmettono con l’esempio, con l’energia, con la passione. E i bambini rispondono: si impegnano, si divertono, e soprattutto… chiamano anche gli amici”.

Quali sono gli obiettivi per la prossima stagione, sia a livello di squadra che personali?
“A livello di squadra, l’obiettivo principale è trovare fin da subito quella continuità che abbiamo mostrato nella parte finale della scorsa stagione. L’anno passato è stato un banco di prova, con un nuovo staff tecnico e tante novità. Ora che partiamo con una base già costruita – gli allenatori saranno gli stessi – abbiamo la possibilità di spingere da subito, con più consapevolezza e coesione. Sul piano personale, per me conta moltissimo l’armonia del gruppo. Vorrei che riuscissimo a divertirci fin dall’inizio, senza paura di sbagliare, senza timori o pressioni. Scendere in campo con la libertà di esprimersi e la serenità di farlo insieme: questo fa la differenza. Poi c’è un altro obiettivo, più intimo: vorrei essere ricordato. Non tanto come singolo, ma come parte di un gruppo che ha lasciato un segno. Sono un giocatore venuto da fuori, è vero, ma mi piacerebbe far parte di una squadra che, in futuro, venga ricordata con affetto e rispetto. Non solo per i risultati, ma per ciò che ha rappresentato”.

Simone Brui del Rugby Capoterra

Parliamo della tua vita fuori dal campo: che passioni o attività segui oltre al rugby?
“Purtroppo – o per fortuna – sono uno di quelli che ogni sei mesi deve trovare qualcosa di nuovo da fare (ride, n.d.r). Al di là della mia routine, che ovviamente ruota intorno al rugby, sento sempre il bisogno di aggiungere un tassello in più. In questo momento, l’università è in cima alla lista: come sai, manca poco alla laurea, e a 27 anni direi che è anche ora di concludere il percorso! Quest’anno però ho avuto la grande opportunità, e anche la fortuna, di scoprire un mondo completamente nuovo: il teatro. Proprio ieri sera si è concluso il corso che ho seguito, con due spettacoli finali. È stata un’esperienza bellissima, molto diversa da tutto il resto, ma allo stesso tempo sorprendentemente vicina al rugby, perché anche la recitazione – come lo sport – è un modo per conoscere se stessi. Lo consiglio vivamente a tutti: bambini, ragazzi, ma anche adulti. Perché tutto ciò che ti spinge a metterti in gioco, a essere curioso, a divertirti, è qualcosa di prezioso. Imparare a conoscere se stessi, a volersi bene, ad amare, ridere, piangere, senza paura di farlo davanti agli altri… sono tutte cose che fanno bene. E secondo me, vale sempre la pena provarci”.

Per concludere, ti senti ormai a casa qui in Sardegna? Pensi di restare ancora a lungo?
“Come ti dicevo prima, in Sardegna ho trovato la mia dimensione, la mia realtà. Qui vivo con serenità, dentro un ritmo più lento – o meglio, più umano – che mi fa stare bene. Anche se non è davvero tutto così lento, c’è comunque un equilibrio che mi piace molto. Sì, credo proprio che resterò ancora a lungo. A dirla tutta, mi piacerebbe restare per sempre. Se devo immaginare un posto dove vivere – e magari anche morire – è quest’isola. Ora convivo qui con la mia compagna, e sento di essere nel posto giusto. Certo, ovviamente mi manca anche Roma: la bellezza della città, le tante cose da fare… Roma è Roma. Ma anche la Sardegna ha una bellezza profonda, diversa, che mi ha accolto e – in un certo senso – mi ha fatto crescere. Sono davvero felice di essere qui”.

Matteo Cubadda

 

 

TAG:  Rugby
 
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