La Torres esce con le ossa frantumate dall’andata del suo primo turno di playoff in quel di Caravaggio. La giovane Dea distrugge i rossoblù, completamente in balia di un’Atalanta che dispone dei sassaresi, in lungo e in largo, per tutta la durata della gara. A meno di una clamorosa vittoria con sei gol di scarto, la squadra di Greco chiuderà la sua stagione ancor prima della Cavalcata, cosa al quanto imprevedibile dopo il terzo posto della regular season. Più che l’appuntamento (quasi) rimandato con quella Serie B che inizia a diventare un’ossessione, a traumatizzare i tifosi sono le modalità che hanno portato a un ko pesantissimo.
Al netto di una guida tecnica da sempre discussa che ieri non ha fatto altro che dare ragione a quella fetta di pubblico che mal digerisce Alfonso Greco, potrebbe essere opportuno andare a valutare tutte le responsabilità che, in maniera superficiale, vengono spesso addossate a un solo colpevole. Nel momento più difficile del campionato si era provato ad analizzare la rosa a disposizione dell’ex tecnico del Lanusei che, al netto dei risultati, lasciava intravedere qualche crepa e, forse, qualche idea un po’ confusa nella sua costruzione. E se lo step più grande, e più difficile, da fare fosse quello di crescita di una dirigenza “giovane” che ancora ragiona in maniera un po’ troppo poco aziendale e, di conseguenza, troppo poco “cattiva”? Gli “Abinsuli” sono stati molto bravi a prendersi una piazza che, vista la situazione in cui versava, non era impossibile da “soddisfare”. Una promozione dalla D, una salvezza affannata e due ottimi campionati. Il calcio, volente o nolente, è impresa da un bel pezzo, è business e negli affari non c’è spazio per la gratitudine, sentimento nobile ma che, ahimè, poco si confà ad un mondo spietato come quello dello sport attuale.
“Nel calcio ci sono le categorie”, disse Massimiliano Allegri. E se fosse arrivato il momento di svoltare e lasciar perdere tutto quel “buonismo” che ha portato a confermare un’altissima percentuale dei protagonisti di questi due anni? In campo, laddove questa Torres ha dimostrato di essere una buona squadra ma non una grande squadra. Non ce ne vogliamo i vari Dametto, Antonelli, Masala, Fabriani, Brentan, Zambataro, Nanni, Scotto, Liviero, Casini, Zamparo ecc., ma siamo sicuri che si possa essere così “corti” in un campionato pieno zeppo di impegni infrasettimanali?
E fuori dal rettangolo verde, a partire da una guida tecnica che ha dimostrato, anche comunicativamente, di non essere, al momento, all’altezza della categoria. Un allenatore che, pur con i suoi limiti, ha lavorato con il materiale che aveva, con un gruppo di giocatori non più giovanissimi e con una struttura, specie dalla mediana in su, costruita in maniera, forse, un po’ troppo confusionaria, fatta di centrocampisti e attaccanti che, per caratteristiche e non per valore assoluto, il sottoscritto fa estremamente fatica a capire come si intendeva incastrarli.
Una Torres con alcuni centrocampisti più adatti a giocare a tre, altri più adatti a una mediana a due. Una Torres con tre centravanti, due seconde punte e un esterno puro. A esser maliziosi, si può pensare a una comunicazione non eccellente tra DS e allenatore, laddove chi vi scrive, un semplice appassionato di calcio che prova a capire cosa succede e perché succede, crede che questa squadra non sia stata costruita con un’idea ben precisa e che si sia dovuta adattare, a tratti molto bene, facendo con quello che passava in convento.
La riconoscenza verso chi ha fatto bene è un sentimento meraviglioso, ma come in tutti i contesti, c’è sempre l’altra faccia della medaglia. Prendere consapevolezza del fatto di dover, qualora si possa, cambiare qualcosa, portando magari competenze “più di categoria” può essere una presa di coscienza difficile per una dirigenza che ha basato buona parte del suo lavoro su quella gratitudine della quale si è parlato qualche riga sopra. E se la soluzione che potrebbe portare a quell’upgrade che tutta la Sassari calcistica auspica fosse essere un po’ meno amici di tutti?
Mauro Garau