E adesso? La Torres dopo l’eliminazione nel primo turno nazionale playoff sta vivendo probabilmente il suo momento più delicato, nella programmazione più che nei risultati si intende. A pesare non è tanto, o solo, l’uscita contro un’Atalanta U23 parsa più in palla, ma il modo attraverso il quale i sassaresi hanno salutato le sfide per la Serie B, con il 7-1 di Caravaggio che è e resta un’onta complicata da cancellare. Il successo per 2-1 nella sfida di ritorno ha segnato un momento importante perché ha dato la netta impressione della fine di un ciclo, che forse era già arrivata ed è stata trascinata un po’ troppo a lungo.
Contestazione
Nell’ultima stagionale al Vanni Sanna le emozioni sono state forti. E hanno segnato anche la prima vera contestazione pubblica da parte del tifo organizzato contro la società targata Abinsula, con i volti scuri, specie all’intervallo, del board rossoblù che hanno dato la misura del dispiacere che circola tra le principali poltrone del club. “Promettete la cadetteria, ma la gestione è da vineria” e poi “Anche noi come voi siamo già al bar”. I due striscioni esposti al primo e al secondo tempo dalla Curva, con il finale di gara disertato in segno di protesta prima della nuova contestazione dopo il triplice fischio. Nel mirino anche squadra e tecnico, con Alfonso Greco punzecchiato in più occasioni da più settori dello stadio. Con l’allenatore romano che in qualche occasione ha anche reagito ai continui insulti. Spesso anche lo stesso stadio è andato contro, con la tribuna ad applaudire e il tifo organizzato a fischiare chi applaudiva. Insomma, uno strappo, netto ed evidente. Non il primissimo va detto, e con ogni probabilità non l’ultimo, ma sicuramente quello che in apparenza sembra il più complesso da ricucire nell’ambiente per la gestione Abinsula.
Tutto questo ha senso?
A viverla con il cuore freddo viene da chiedersi: ma tutto questo ha senso? Sì perché la rabbia, la delusione e la vergogna dopo il 7-1 subito all’andata sono sentimenti giusti e chi fa sacrifici come i tifosi ha sempre il diritto di contestare e criticare. Ma la domanda resta: ha senso voler gettare tutto? Mettere in discussione ogni cosa, come se negli ultimi quattro anni la Torres non abbia comunque fatto un percorso di crescita più che importante, è il metodo migliore per crescere? Non c’è una risposta giusta. Perché le critiche costruttive sono necessarie e doverose, ma la pancia non sempre porta agli umori corretti. E la sfida nella sfida, ancora una volta, per Sassari sarà quello di provare ad ascoltare più la testa che lo stomaco per ripartire più forte da uno schiaffo che ha fatto male, fa male e continuerà a fare male.
Chi ha colpa?
Proviamo ad analizzarli questi primi quattro anni. Una promozione in Serie C, attesa da anni, arrivata dopo la vittoria dei playoff di Serie D e il conseguente ripescaggio. Trovato anche grazie alla bravura del club di stringere i rapporti giusti in Lega per dimostrare la bontà e la solidità del progetto. Aspetto non scontato e sul quale va dato merito a chi ora viene criticato. Una salvezza, sofferta, ottenuta al primo anno. Con la pancia, ancora lei, che aveva portato a un esonero prematuro di Greco e la testa che ha permesso di contraddire la scelta e richiamare il tecnico ex Lanusei che ha portato la nave in porto. Un traguardo non scontato per una squadra costruita in poche settimane ad agosto, in netto ritardo rispetto a tutte le avversarie e con la lunga incertezza sulla categoria finale, visti i ricorsi e contro-ricorsi delle estromesse dalla Covisoc. Poi l’anno scorso un mercato estivo molto importante, l’inizio da sogno e la rimonta subita da un Cesena formato corazzata. E prendiamoli in analisi i bianconeri. Dalla promozione in C dopo le varie fatiche i romagnoli ci hanno messo cinque anni per centrare la Serie B e lo hanno fatto con un progetto lungimirante, con tanti giovani presenti in rosa e con una squadra che una volta centrato il salto di categoria ha subito raggiunto i playoff per la Serie A. Certo, mondi diversi, basti vedere le strutture che ha il Cesena, ma è l’esempio perfetto di come nel calcio nulla è scontato e di come siano fondamentali le tappe di un percorso nel quale non ci si inventa nulla. L’annata record passata ha alzato ulteriormente l’asticella per la Torres e ha portato al consolidamento del gruppo che aveva ottenuto il secondo posto, dalla panchina al campo. Questa, con il senno del poi, è stata forse una scelta forte e che magari poteva essere presa in modo diverso. Basti considerare che al momento l’unico a scadenza tra i rossoblù è il centrocampista Casini. Qualche giocatore ha iniziato la stagione un po’ con la luce della riserva sul progetto accesa e anche il tecnico, dopo anni da capro espiatorio isolato, ha dato l’impressione di essersi un po’ stufato di questo clima. Ma la società è stata ferma nella sua scelta e non ha cambiato a stagione in corso pur avendone le opportunità nei vari momenti delicati di un campionato comunque chiuso al terzo posto. Mai in 122 anni di storia la Torres aveva fatto così tanti punti consecutivamente, mai aveva centrato in fila un secondo e un terzo posto. A qualcuno questa cosa fa arrabbiare, ma ricordatevi del discorso delle tappe.
E proprio bruciare le tappe forse, paradossalmente, è stato un po’ il problema di questa società. Subito la C, attesa e voluta ma mai scontata. Subito una salvezza che sembrava dovuta ma così non era. Subito un’annata record e di conseguenza l’aspettativa che vincere il campionato fosse quasi il passaggio naturale. Benzina sul fuoco per una piazza che dopo tanti anni di difficoltà non ha più voglia di aspettare. Allo stesso tempo però la Torres ha saltato degli step. Come per esempio il completamento delle strutture di allenamento necessarie per una squadra di vertice in C, un Vanni Sanna adatto al contesto e anche, e forse soprattutto, l’organizzazione del club, nelle sue figure e nei compiti delle varie figure, in modo sempre più strutturato per un obiettivo grande come la Serie B.
Sui primi due punti viene difficile dare addosso alla società. La Torres ha investito nel territorio, ha preso il Latte Dolce per aumentare la forza del suo settore giovanile, ha lavorato di intesa con i vari comuni, come quello di Sennori, per dare una casa anche alla sua scuola calcio e poi ha messo nero su bianco i lavori per la creazione di un piccolo centro sportivo sempre a Latte Dolce, dotato di vari campi, club house, accesso alle piscine e alle palestre. E che a breve vedrà la luce. Sul tema stadio la Torres si è portata avanti sia in autonomia, facendo diverse manutenzioni straordinarie, che lavorando d’intesa con le varie amministrazioni. Dalla creazione del campo dietro i distinti ai prossimi due terreni che sorgeranno a brevissimo dietro la Curva Nord e che saranno sempre destinati al settore giovanile. E poi c’è la promessa del Comune, sulla messa in sicurezza (avvenuta) e il conseguente ampliamento oltre i 6mila posti (non necessari se si guarda all’affluenza media ma importanti come step) e sulla posa del nuovo manto erboso (che si spera verrà effettuata in queste prossime settimane prima della prossima stagione). Resta l’organizzazione del club. Ed è questo l’aspetto in cui la dirigenza può essere più criticabile. Tante, troppe voci all’interno del Vanni Sanna. Uno staff allargato, composto da tante persone che hanno a cuore la Torres, ma il troppo stroppia. Una famiglia allargata (ma i parenti alle volte sono serpenti si sa), nata per una spontanea e genuina volontà del club di sentirsi parte della città, di fare un qualcosa per la piazza e di sentirsi apprezzati per questo. E la sfida ora sarà quella di dare alla Torres un’organizzazione più compatta, solida e magari fatta anche da figure in arrivo dall’esterno che sappiano mettere i giusti paletti. Anche perché l’attaccamento al territorio è una cosa fondamentale, sia in campo che fuori, sentire il peso della maglia e della sua storia è la forza di questo progetto, ma la volontà di accontentare tutti e di essere per forza amati è un gioco, un esercizio di stile impensabile per chiunque. E magari le reazioni allo schiaffo di Bergamo e le prime vere contestazioni qualcosa in questo senso insegneranno, come è giusto che sia.
Singoli
Un passaggio particolare va fatto su due singoli. Da una parte Alfonso Greco e dall’altra Gigi Scotto, entrambi contestati nell’inutile 2-1 del Vanni Sanna sull’Atalanta. Per il capitano qualche fischio incomprensibile al momento dell’ingresso in campo. Un giocatore che comunque ci ha sempre messo la faccia, nel bene e nel male e che in qualche modo ha rappresentato la Torres in questi ultimi anni. Un giocatore che ha devastato il proprio fisico pur di esserci sempre per la maglia e forse qualcuno si è dimenticato il calvario recente dei vari infortuni. Possibile che questa sia l’estate degli addii anche per lui e sarebbe ingiusto, in caso, lasciarsi con il broncio per uno che resta un figlio della città. Poi c’è il complicato capitolo Greco. Che l’allenatore romano, mediaticamente e sportivamente ci abbia messo del suo per non farsi completamente amare dalla piazza sassarese è fuori discussione. Il tecnico non ha saputo forse leggere bene carattere e umore della piazza per provare a portarsi l’ambiente dalla sua. D’altronde con i risultati recenti con una comunicazione diversa sarebbe stato molto facile essere idolatrato e non odiato. L’ex Lanusei però ha scelto di essere il pungiball dei problemi rossoblù, a volte non solo di quelli di campo. Una condizione logorante che a tratti lo ha stimolato ma che da mesi, almeno nell’impressione di chi vi scrive, aveva portato a una rottura importante. Alcune uscite, come gli “pseudo-tifosi”, e alcune conferenze con tanti dribbling e poca sostanza hanno fatto il resto per non far crescere un amore mai davvero sbocciato tra Greco e Sassari. E la chiusura del cerchio con la conferenza stampa prima annunciata e poi revocata dopo una serata di fischi e insulti è un passaggio che personalmente crediamo l’allenatore dei rossoblù non si meritasse. L’addio in queste ore è cosa inevitabile per un ciclo che poteva chiudersi sicuramente in un altro modo.
Roberto Pinna