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Il Cagliari esulta sotto la Sud dopo il successo con l'Ascoli | Foto Luigi Canu

Gruppo e identità: Ranieri ha trovato l’ossatura del suo Cagliari

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Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono“. Una frase celebre che appartiene a Nereo Rocco, icona del calcio italiano che non ha bisogno di presentazioni. La cosiddetta spina dorsale, struttura portante decisiva almeno quanto il cambio tattico per il Cagliari di Claudio Ranieri, partendo dal secondo tempo contro l’Ascoli fino alla ritrovata vittoria esterna contro la Reggina.

Muro

Sarebbe ingeneroso limitarsi al termine asini per descrivere l’importanza del contorno a supporto della linea centrale dell’undici rossoblù. Da Nández e Lella che con il loro lavoro hanno liberato Makoumbou da troppi compiti di sacrificio, passando per Azzi e Zappa che sugli esterni danno sfogo costante al gioco, arrivando a Prelec e al suo sacrificio che apre l’area per le scorribande di Lapadula. I gregari del Cagliari fondamentali per la crescita di tutta la squadra, la spina dorsale elemento decisivo per alzare l’asticella delle prestazioni. Partendo da Radunovic, una tranquillità ritrovata che ha dato solidità alla retroguardia ricevendo in cambio maggiore tranquillità e sicurezza. Il portiere che para tutto, d’altronde chissà che partita sarebbe stata se il serbo non avesse risposto presente su Canotto pochi minuti dopo il vantaggio firmato da Lapadula, difficoltà evitate grazie all’estremo difensore pronto a dire la sua nel pomeriggio del Granillo. O il possibile ritorno della Reggina nella ripresa bloccato sul nascere dal suo intervento su Strelec, quando la sfida era sullo 0-2 e un gol amaranto avrebbe potuto riattivare la bolgia di uno stadio silenziato dal doppio svantaggio. O, ancora, l’autostima che cresce per la porta rimasta inviolata grazie alla parata su Gori a preservare lo 0-3, confermando fiducia a una retroguardia ormai solida e quasi imperforabile. Retroguardia che ha trovato in Dossena il proprio assassino dai guanti bianchi, non difensore vecchio stampo o palla o gamba, ruvido e senza fronzoli, ma killer elegante che con classe e senso della posizione uccide le velleità degli avversari. L’indecisione in occasione del gol dell’Ascoli superata con l’ennesima prestazione sopra le righe, per chi da quando è entrato nell’undici titolare – una volta salutato Liverani – non ne è più uscito. Diventando simbolo delle fondamenta sulle quali Ranieri ha costruito la nuova casa Cagliari.

Genio e mona

Nella massima del Paròn manca forse il regista che non ti aspetti, quel Makoumbou che piano piano ha trovato nel regno davanti alla difesa il proprio habitat naturale. Resta una semplicità di fondo in fase di possesso, quel guizzo verticale che manca spesso e volentieri, ma i suoi tentacoli – Ranieri dixit – sono diventati una costante per bloccare sul nascere le incursioni centrali degli avversari di turno. Asticella delle prestazioni alzata soprattutto grazie al ritorno a pieno regime del genio del centrocampo Marco Mancosu, vera anima identitaria del Cagliari di Sir Claudio. Che anche nelle giornate nelle quali i guizzi non arrivano, dimostra il proprio peso specifico con la sola presenza fatta di intelligenza tattica e caratura tecnica da fuori categoria. Sempre al posto giusto al momento giusto, libero di svariare tra le linee e di mettersi al servizio di mediana e attacco, il numero 5 ha messo la firma sulla sfida del Granillo con il rigore dello 0-3, la finta con saltello prima della battuta a dimostrare tranquillità e freddezza. Il genio Mancosu è anche la chiave che permette al mona con il numero 9 sulla maglia di rendere al meglio, in combinazione con il lavoro di Prelec a supporto. Lapadula ha così scalato la classifica cannonieri, le due reti contro la Reggina per issarsi in vetta e condividere il trono con Cheddira del Bari, grazie al ritrovato gol di rapina – specialità della casa che mancava dalla gara contro il Sudtirol – e a un rigore finalmente calciato a modo. Nel dialetto veneto essere un mona significa essere un sempliciotto, definizione con accezione negativa che nel pensiero di Nereo Rocco si trasforma in qualità. Spina nel fianco, fastidioso per gli avversari, sempre pronto a punire, unica missione il gol. Semplice, appunto. E terminale della spina dorsale, leader determinante senza egoismi, capace di mettere da parte l’occasione di portarsi a casa il pallone e la prima tripletta in rossoblù per lasciare che fosse Mancosu a calciare il secondo rigore del pomeriggio. Dettaglio simbolico di un gruppo rinato mentalmente, che si diverte e che si supporta a vicenda, vero successo di Claudio Ranieri che proprio con il Bambino delle Ande ha stretto un rapporto speciale certificato dai dialoghi fitti dopo le due reti di Reggio Calabria. E che, assieme alla combinazione definita dalla frase del Parón, può diventare la vera forza del Cagliari verso un finale di stagione da protagonisti.

Matteo Zizola

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