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Da Arzachena all’Aconcagua, l’impresa del medico scalatore Pirina: “Ora l’Everest”

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Situazioni estreme, difficili, in cui l’adrenalina e la tensione deve essere messa da parte per dare spazio alla razionalità e alla lucidità. Tutte emozioni e sensazioni che Ivan Pirina, da medico chirurgo di 47 anni, non solo prova quotidianamente ma anche fuori dall’ambito lavorativo. Ore libere che passa nei campi di calcio, in qualità di medico sociale dell’Arzachena, ma in particolare sulle cime delle montagne più alte del mondo. Per il dottore scalatore arzachenese le vette del Monte Bianco, del Kilimangiaro o l’ultima raggiunta – il 22 gennaio del 2024 – dell’Aconcagua (6961 metri), non sono solo punti di arrivo ma un primo passo verso un nuovo obiettivo: ovvero l’Everest, il punto più alto della Terra a quota 8848 metri.

Pirina, medico chirurgo che nel tempo libero si diletta a scalare le Seven Summits. Ogni due anni una vetta differente…

“Una volta scalato il monte Bianco nel 2020 non mi sono fermato e dopo tanto lavoro e allenamento ho deciso di puntare più in alto. Nel 2022 ho fatto tappa in Africa per affrontare il Kilimangiaro, la quarta montagna più alta tra le Seven Summits, ossia le sette cime più alte dei vari continenti. Scalati gli oltre 5000 del Kilimangiaro ho subito guardato al nuovo obiettivo ovvero l’Aconcagua. La vetta si trova in Argentina ed è quella più alta delle Americhe e con i suoi 6961 metri è la seconda più alta delle Seven Summits”.

Quanto è durata questa impresa e in che giorno siete arrivati in cima?

“La scalata è durata 16 giorni di cui 13 esclusivamente per la salita, vista la difficoltà di acclimatamento a queste quote. Abbiamo trasportato l’attrezzatura fino al campo base, posto a 4300 metri, anche grazie ai muli. Ma da quel momento abbiamo dovuto fare affidamento solo sulle nostre forze per riuscire a scalare l’Aconcagua. Un percorso lungo e difficile da quel punto fino alla cima. Abbiamo dovuto installare tre campi: il primo a 5050 metri, il secondo a 5600 metri e infine il terzo a 6000 metri. Siamo arrivati sul punto più alto il 22 gennaio, una fatica incredibile. Avevamo voglia di raggiungere la vetta e portare a compimento questa scalata quindi abbiamo deciso di partire in piena notte. Ci siamo armati di lampade frontali e forza di volontà. È stato un percorso estenuante, la scalata è durata più di 9 ore, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e siamo arrivati ai 6961m dell’Aconcagua”.

Che emozione si prova una volta raggiunta la cima di una montagna?

“Di sicuro le emozioni provate arrivando in cima a queste grandi montagne spingono a superare ogni volta i propri limiti, ma cerco sempre di far tutto con il massimo della preparazione e sicurezza, anche se a queste quote gli incidenti sono piuttosto frequenti: come dimostrano le 3 vittime in altre spedizioni che, come noi, tentavano di scalare l’Aconcagua. A loro va un mio commosso pensiero”.

Una grande impresa è formata da una grande compagnia…

“Si non ero solo, insieme a me hanno preso parte alla spedizione altri 3 membri: ovvero Sergio Malacarne, Mauro Bravin Becca e la guida alpina Guido Candolini del gruppo inMont”.

Ora il prossimo obiettivo?

“L’Aconcagua è una cima relativamente facile dal punto di vista tecnico, ma estremamente complessa da quello logistico e soprattutto meteorologico, viene infatti paragonata a un “piccolo 8000″ per condizioni ambientali e di acclimatamento. Ora vorrei continuare nell’ambizioso progetto di scalare le Seven Summits: puntando al bersaglio grosso ovvero l’Everest. Per farlo servirà una preparazione maniacale sotto l’aspetto atletico e mentale, ma anche qualche sponsorizzazione. Oltre alle fatiche fisiche per portare a termine questa impresa, serve anche un grande sforzo economico per riuscire a compiere una spedizione sul tetto del mondo”.

Andrea Olmeo

TAG:  Altri Sport
 
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