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Gianfranco Matteoli, con la maglia del Cagliari

Chi più di Matteoli su Cagliari-Inter?

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Ridateci l’undici, la rubrica sul Cagliari curata da Nanni Boi.

Poteva nascondersi dove voleva Gianfranco Matteoli, ma il suo talento sarebbe emerso comunque. Quand’era a Ovodda, suo paese nel nuorese, e indossava la maglia numero 11 come tutti i compagni in onore di Gigi Riva, inutilmente Adriano Reginato, portiere dei record e poi apprezzato allenatore delle giovanili del Cagliari, tentò di convincere la società che per un 15enne così bravo valeva la pena spendere qualcosa per alloggiarlo in foresteria con i giovani della Primavera, anche se non aveva ancora l’età. E quando poi, qualche mese dopo, debuttò col Cantù in quarta serie, prima il grande scopritore di talenti Mino Favini (una vita tra Como e Atalanta) e poi Narciso Pezzotti, lo storico secondo di Bersellini, Boskov e soprattutto di Marcello Lippi (l’allenatore in seconda più vincente del mondo guardando il suo palmares ricchissimo) non ci misero un attimo a portarselo nelle giovanili del Como.

Quattro anni fantastici all’Inter da giocatore con lo scudetto dei record e il Trap in panchina, altrettanti a Cagliari da capitano con una storica semifinale Uefa. Altri quindici anni da responsabile del settore giovanile rossoblù con oltre cinquanta giovani portati al debutto in prima squadra. E il numero continua a crescere. L’ultimo è Doratiotto, portato in rossoblù da un altro grande intenditore di calcio e grande amico di Gianfranco, al secolo Franco Sarritzu, quando aveva solo 8 anni insieme al fratello. Gianfranco Matteoli da poco più di due anni è tornato nuovamente all’Inter per scoprire in giro per il mondo nuovi rinforzi. Chi meglio di lui alla vigilia della sfida di domani tra Cagliari e Inter può presentare l’incontro?

Matteoli, c’è un precedente tra le due squadre con lei protagonista che ricorda in particolare?

“Ne cito due: il primo lo giocai con la maglia dell’Inter. Si festeggiava contemporaneamente lo scudetto appena vinto e il ritorno in B del Cagliari, fine primavera 1989. Cinquantamila spettatori al Sant’Elia e un’accoglienza meravigliosa che fu decisiva per il mio successivo passaggio in rossoblù l’anno seguente. E poi il coro dei tifosi nerazzurri a San Siro col mio nome e un lungo applauso quando tornai da ex proprio con il Cagliari e pareggiammo nei minuti finali con un gol di Cappioli su mia imbeccata. Da brividi”.

Tanti compagni famosi e tanti campioni. Ne scelga uno.

“Avrei l’imbarazzo della scelta, ma dico Marco Tardelli, non a caso campione del mondo. Lo ebbi compagno all’Inter quando aveva superato la trentina, ma ricordo ancora la stecca che mi diede al debutto in A quando giocavo a Como e lui alla Juve dopo 30 secondi dall’inizio della partita. Ero ancora a terra e lui mi disse: ‘ragazzo, si danno e si prendono’. Messaggio ricevuto, fu il mio battesimo in tutti i sensi”.

L’Inter dopo un inizio faticoso si è rimessa in carreggiata, ma ora sta scontando i problemi con Icardi.

“I proclami servono a poco nel calcio, ma di certo questa squadra è stata costruita per competere con le migliori. E paradossalmente l’aver superato le prime avversità è un dato che accresce la convinzione nei propri mezzi. Su Icardi non spetta a me parlare. Spero che si risolva tutto nel migliore dei modi per il bene di tutti e soprattutto dell’Inter”.

Il Cagliari?

“Mi piace. E’ stato fatto un buon lavoro con giocatori di valore e un tecnico di esperienza. Può dire la sua con chiunque. Ha avuto dei problemi per via dei tanti infortuni, ma vanta sempre un buon margine sulla zona pericolosa”.

Nainggolan e Barella, due nomi non a caso.

“Ricordo quando Radja venne per un periodo ad allenarsi con la Primavera rossoblù perché non giocava. Sembrava dovesse essere rispedito al mittente, cioè al Piacenza, invece si mise di buzzo buono e in campo dava sempre il massimo. Poi fu Bisoli quando tornò in rossoblù per allenare la prima squadra, a vietarne la cessione facendo la fortuna del Cagliari e dello stesso giocatore. Barella non mi stupisce che stia facendo bene e che si sia conquistato la nazionale. Arrivò che era bambino grazie a un amico, Pino Serra, grande tifoso del Cagliari. Nelle giovanili giocava sempre con compagni di due anni più grandi di lui e se non sbaglio fece la prima panchina in A a 16 anni. L’allenatore Festa lo impiegò nelle ultime partite l’anno seguente e poi gli diede fiducia quando lo prese a Como dove crebbe ulteriormente. Il resto è sotto gli occhi di tutti, come le 50 presenze nelle nazionali giovanili, il terzo campionato da protagonista e la chiamata di Mancini. Ha doti tecniche non comuni, ma quello che fa la differenza è la forte personalità. Un po’ come quella di Arroddugò.

Nanni Boi