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#9 | Molentargius, perla da coccolare (VIDEO)

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Bai e Circa vi porta nei luoghi più belli e storici di Cagliari e della Sardegna: come sono gestiti?

Il parco naturale regionale Molentargius-Saline nasce ufficialmente nel 1999 con l’obiettivo di tutelare e valorizzare un sito di interesse internazionale. Un enorme rifugio ornitologico che accoglie numerose specie dell’avifauna europea, un patrimonio naturale ma anche un testimone importante del nostro passato: per due millenni dalle sue acque è stato estratto il sale, un’ancora di salvezza per l’economia locale fino ai primi del novecento. Anche il suo nome è legato indelebilmente a quel passato, “Is molentargius” erano i conduttori degli asini che venivano utilizzati regolarmente, prima dell’industrializzazione, per il trasporto del sale.

Una storia lunghissima che ha vissuto un crocevia di lavoratori di ogni genere provenienti dalle vicinanze, compresi i contadini dei villaggi campidanesi che dal 1327 alla metà dell’ottocento erano obbligati a lavorarci. Una pratica poi sostituita dai veri e propri lavori forzati per i delinquenti comuni, una condanna che perdurò fino agli anni venti del novecento quando venne soppressa. Da allora, l’intera salina ricominciò ad occupare lavoratori comuni, che in forza del loro numero (circa 2000 unità) si riunirono in grosse cooperative, e costituirono i primi nuclei di sindacati operai di Cagliari e di Quartu. Una realtà economica che riuscì ad arrivare fino alla metà degli anni ottanta, quando vi erano poco più di 100 lavoratori e tutto venne chiuso a causa dell’inquinamento.

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Solo allora ci si rese conto del degrado di un’intera area (che comprende oltre lo stagno anche le saline e il Poetto) dovuto sia alla mancata progettazione di reti fognarie (causa maggiore dell’inquinamento delle acque) sia all’incessante prelievo di sabbia dal litorale, accentuatosi durante gli anni del boom edilizio. Un patrimonio che rischiava di essere spazzato via dall’indifferenza generale, ma che grazie all’impegno di scienziati e ambientalisti venne man mano recuperato attraverso la ricerca e l’opera di persuasione nei confronti di una classe politica fino ad allora sorda. Il primo risultato concreto arrivò nel 1989 con un protocollo d’intesa firmato dalla Regione (a guida PSd’Az) e dal Governo nazionale per la “salvaguardia ambientale” dell’intera area.

A partire dal 1993 avviene una svolta importante, che darà poi l’impronta al parco. Inizia a nidificare il fenicottero rosa, che fino ad allora utilizzava lo stagno come zona di sosta e sito di svernamento nel flusso migratorio fra il sud della Francia (la Camargue) e il nord dell’Africa. Nel corso di questi ultimi venticinque anni questi bellissimi esemplari sono cresciuti esponenzialmente nel numero, diventando di diritto il simbolo del parco e della città. “Sa genti arrubia”o “is mangonis” contribuiscono infatti, insieme alle altre numerose specie di uccelli acquatic,i a rendere Molentargius una tra le più importanti zone umide d’Europa.

Oggi il parco è completamente usufruibile, e l’accesso è gratuito. Per chi fosse interessato, a ridosso dell’ingresso si trova l’edificio Sali Scelti, un tempo destinato alla purificazione del sale, e oggi sede del consorzio del parco, dove è possibile richiedere informazioni per le visite guidate di gruppo, o semplicemente per il noleggio di una bicicletta.

Nel corso degli ultimi 30 anni si è fatto molto, e sono cambiate parecchie cose. Molentargius è stato trasformato totalmente, da recapito dei reflui dell’area metropolitana a orgoglio naturalistico cittadino. Dopo tutto questo tempo e questi cambiamenti ritroviamo per la prima volta una Giunta regionale dove il Psd’Az ha la maggioranza. L’augurio è che abbiano memoria di quello che anche loro hanno contribuito a creare con Melis, e continuino a seguire una strada che ormai è tracciata. L’auspicio è che si lascino da parte voli pindarici e proposte – già sentite in passato – come l’urbanizzazione della zona con tanto di alberghi. Vorrebbe dire ricadere esattamente negli stessi errori che portarono lo stagno ad un passo dalla rovina.

Enrico Mura

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